Come riportato da AdnKronos, ora una nuova ricerca condotta in Italia indaga più da vicino i rischi di trasmissione di virus dai pipistrelli ai suini, prendendo come caso studio alcuni allevamenti del Nord del Paese.
LA RICERCA
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, è firmato dai ricercatori del Laboratorio di zoonosi virali emergenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Izsve), nell’ambito del progetto europeo ConVErgence. Hanno collaborato anche l’Università La Sapienza di Roma, Padova, Bari, il Sussex (UK) e la Coop. Sterna di Forlì.
Secondo gli esperti, gli allevamenti suini possono diventare veri e propri “hotspot” di diffusione per varianti virali potenzialmente pericolose. Per questo motivo, l’identificazione di nuovi coronavirus è essenziale per valutare il loro adattamento e il rischio di spillover, ossia il salto di specie.
La ricerca si è basata su un approccio multidisciplinare che ha unito indagini ecologiche, modellistica ambientale e virologia molecolare.
In 14 allevamenti suinicoli del Triveneto, il team ha condotto un monitoraggio bioacustico identificando otto specie di pipistrelli, tra cui Pipistrellus kuhlii, Pipistrellus pipistrellus e Hypsugo savii come le più diffuse.
Le analisi hanno rivelato tre nuove specie di coronavirus, rilevate proprio in P. kuhlii e H. savii, di cui è stato possibile ottenere il sequenziamento completo del genoma. I CoV sono stati trovati durante tutta la stagione di attività dei pipistrelli, con picchi in maggio e agosto, e in alcuni casi condivisi tra specie diverse, aumentando il rischio di ricombinazione genetica.
Curiosamente, lo studio evidenzia anche un aspetto positivo: le aziende suinicole possono fungere da rifugio per i pipistrelli, favorendo la conservazione della biodiversità in aree di agricoltura intensiva. Questi animali, infatti, svolgono un importante ruolo ecologico di controllo degli insetti dannosi, contribuendo a ridurre l’uso di pesticidi.
Tuttavia, la vicinanza tra pipistrelli e suini aumenta il rischio di trasmissione virale. Gli esperti sottolineano che in molti allevamenti manca ancora una barriera fisica efficace per evitare il contatto diretto tra animali selvatici e domestici, e che le pratiche di biosicurezza risultano spesso disomogenee.
Rafforzare la biosicurezza negli allevamenti e migliorare la gestione delle strutture può ridurre il rischio di nuovi spillover, garantendo al tempo stesso la coesistenza tra uomo, animali domestici e fauna selvatica.
Un messaggio chiaro, quello che emerge dalla ricerca: la salute degli esseri umani è strettamente legata a quella degli animali e dell’ambiente – un principio alla base dell’approccio One Health.