Meteo e CORONAVIRUS: perché il CALDO NON è bastato a fermare il COVID-19? Ecco COSA è stato scoperto


Meteo e CORONAVIRUS: perché il CALDO NON è bastato a fermare il COVID-19? Ecco COSA è stato scoperto

La struttura del nuovo coronavirus
La struttura del nuovo coronavirus
Nei mesi in cui l'Italia era divorata dalla pandemia si guardava alla successiva stagione estiva come al momento in cui la diffusione del COVID-19 si sarebbe potuta arrestare: tutto questo, tuttavia, non è accaduto e, nonostante un iniziale deciso miglioramento della situazione per l'Italia, anche nei mesi caldi il bollettino dei nuovi contagi quotidiani non ha fatto registrare un vero e proprio stop, con un peggioramento anzi tra la fine di agosto e i primi di settembre.
La convinzione secondo cui l'agente patogeno sarebbe "sparito" con il caldo nasceva dal fatto che il Sars-CoV-2 proviene dalla famiglia dei coronavirus, della quale fa parte anche il virus dell'influenza: le influenze "normali", infatti, con le alte temperature, tipiche dell'estate, tendono a sparire del tutto, e così si pensava che anche il COVID-19 potesse seguire la medesima strada.

Così non è stato: ma come mai? Gli esempi arrivano da varie parti del mondo con clima è caldo e umido, pensiamo all'India o al Brasile, dove la pandemia facendo registrare nuovi picchi giorno dopo giorno.
Al momento, nessuno sa con esattezza perché il virus si stia comportando in questa maniera, tuttavia esistono alcune ricerche che hanno fatto luce su alcuni aspetti interessanti relativi al virus in collegamento con il clima.

In particolare, un gruppo di ricercatori ungheresi ha recentemente tentato di "bucare" il coronavirus con un sottilissimo ago, al fine di misurare l'intensità di forza necessaria per far esplodere il virone (particella virale): il risultato di questo test, pubblicato sul sito Biorxiv.org (ma non ancora sottoposto a revisione tra pari) è stato sorprendente. La perforazione, ripetuta più volte, non ha dato risultati: il coronavirus non è stato bucato.

La seconda ricerca messa in campo per cercare di capire meglio come si potesse comportare il nuovo virus arriva dalla cina: secondo quanto riportato dal South China Morning Post, un team dell’università Tsinghua di Pechino, ha pubblicato sulla rivista Cell la ricostruzione strutturale più dettagliata del virus, scoprendo che l’agente patogeno potrebbe essere in grado di accumulare un’ingente quantità di acido nucleico, ovvero macromolecole capaci di trasportare i dati genetici in un involucro molto stretto.

In ultima analisi, un test effettuato da scienziati francesi, ha scoperto che il virus sarebbe in grado di replicarsi nelle cellule animali con una certa consistenza dopo essere stato esposto a temperature di 60 gradi Celsius per un’ora.

I focolai registrati nell'emisfero settentrionale durante l’estate hanno suggerito che le alte temperature non hanno affatto rallentato la diffusione del COVID-19, come precedentemente sperato.