I ricercatori hanno sottoposto i ceppi del patogeno a 60° per un'ora e il risultato è che il calore non è stato in grado di ucciderli tutti.
L'esperimento è stato effettuato da due colture di cellule renali da una scimmia africana. Una con proteine animali, quindi contaminato, l'altra senza alcun condizionamento. Dopo aver esposto la prima (quella contaminata) per 60 minuti a 60°C, alcuni ceppi sono sopravvissuti e si sono anche riprodotti in seguito, mentre nel secondo caso sono morti per intero.
Al contrario, in un altro test condotto a 92°C per 15 minuti di esposizione, l'efficacia è stata totale.
Alla luce di questi risultati viene in parte a decadere la teoria secondo la quale l'arrivo dell'estate potrebbe porre fine alla pandemia, ipotesi che del resto era già stata parzialmente smentita da diversi esperti.
Tuttavia, senza attendere lo studio francese, alcune settimane fa, il professor Massimo Fazzini dell'Università di Firenze, aveva dichiarato: "da più parti si sono fatte svariate allusioni sull’incidenza della variabile temperatura, evidenziando che il virus potesse perdere efficacia all’aumentare o al sensibile diminuire di questo parametro; alcuni divulgatori hanno curiosamente evidenziato che il Covid-19 morirebbe oltre i 27 gradi centigradi di temperatura, ma per ora l'indicazione non è confermata dai nostri rilevamenti. Anche le variabili del soleggiamento e del vento non danno indicazioni in questo senso".
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