Parzialmente differenti i dati relativi alle
terapie intensive in cui i pazienti crescono a un ritmo inferiore. I ricoveri in rianimazione fanno registrare un
aumento di sole 7 unità, pari al 9%, e si tratta esclusivamente di non
vaccinati: nelle terapie intensive aumentano del 17% i pazienti non
vaccinati mentre diminuiscono del 10% quelli vaccinati.
La diminuzione dei vaccinati nelle intensive, nonostante
l’aumento complessivo dei ricoverati, è un segnale positivo circa
la protezione del vaccino dalle forme gravi. Sono in tutto 810 i
pazienti monitorati dallo studio Fiaso contro i 697 del 23 novembre.
L’incremento sembra anche accelerare rispetto all’ultima rilevazione
quando il tasso di crescita era stato leggermente inferiore, pari
all’11%.
A conferma delle precedenti rilevazioni, come riportato anche dal quotidiano Repubblica, l’età media risulta decisamente più bassa tra i non vaccinati: i pazienti positivi al COVID che finiscono in ospedale senza aver ricevuto nemmeno una dose di vaccino hanno in media 63,4 anni a differenza dei vaccinati che hanno 74,7 anni. La presenza di patologie pregresse, inoltre, continua a essere più alta tra chi è stato vaccinato: fra i vaccinati i pazienti con comorbidità sono il 71% mentre fra i non vaccinati il 56%. I non vaccinati che vengono ricoverati, dunque, sono in media più giovani e godono di uno stato di salute migliore.
Insomma, i dati sembrano dimostrare che la vaccinazione e la diagnosi precoce influenzano
positivamente e in modo sensibile la tipologia di pazienti che
necessitano di ricovero e di cure intensive e l’esito della malattia.
Tuttavia, tutti gli strumenti di
prevenzione, tra cui anche l’igiene delle mani, l’utilizzo della
mascherina e il rispetto del distanziamento sociale sono ancora
necessari se vogliamo ridurre l’impatto della malattia nella nostra
comunità.