La nanoparticella a mosaico e' strutturata come una gabbia composta da 60 proteine identiche fra loro, ciascuna delle quali presenta in superficie una piccola 'etichetta' che agisce come un velcro. I ricercatori californiani, guidati da Alexander Cohen, hanno pensato di "attaccarci" i frammenti delle proteine Spike di otto diversi coronavirus che circolano nel mondo animale, in particolare tra pipistrelli e pangolini.
Queste nanoparticelle a mosaico hanno addestrato il sistema immunitario a riconoscere i tratti tipici che accomunano i vari coronavirus, determinando la produzione di anticorpi capaci di attaccare non solo SarsCoV2, ma anche nuovi coronavirus emergenti che potrebbero causare una pandemia. "Se riuscissimo a dimostrare che la risposta indotta dalle nanoparticelle protegge dalla malattia che deriva dall'infezione, allora potremmo sperare di portare avanti questa tecnologia per testarla sull'uomo, anche se la strada sarebbe comunque molto lunga", ha spiegato Cohen. Che ha poi aggiunto: "Non pensiamo che questa metodologia possa rimpiazzare i vaccini esistenti, ma e' bene avere piu' strumenti per affrontare future minacce virali emergenti".
Insomma, un sospiro di sollievo che ci arriva dalla scienza, che ogni giorno cerca di trovare soluzioni non solo alla situazione attuale, ma anche in ottica futura.