Il professore ha peraltro ribadito ad AdnKronos come l’Italia, ad oggi, non sia più in grave pericolo e che, di conseguenza, la chiusura totale di marzo e aprile scorsi non avverrà mai più.
Certo, l’aumento dei positivi a livello nazionale è indubbio, ma a detta del direttore, la percentuale di nuovi contagiati che necessitano di un ricovero nei reparti di terapia intensiva non minerebbe la tenuta complessiva del sistema sanitario nazionale: "200 persone in terapia intensiva su 50mila casi significa dire che lo 0,5% del totale dei pazienti hanno una malattia leggermente più grave", ha ribadito l'infettivologo.
Più probabile e plausibile, secondo Bassetti, l’ipotesi del
ritorno di "zone rosse" a livello locale e di lockdown circostanziati nei tempi e nelle aree in cui dovessero insorgere dei
focolai, al fine del contenimento dei contagi. Come in realtà sta
già accadendo in determinate aree (QUI potete leggere le zone poste in quarantena).
"Ora occorre tamponare chi ne ha bisogno, se ci sono realtà dove scoppiano focolai si può
intervenire con inasprimento delle misure di controllo e di
contenimento", ha detto Bassetti.
Tra le righe, tuttavia, non mancano le critiche destinate a destar polemica nei confronti di alcune regioni del Sud che attualmente hanno dei problemi. Questi, secondo il virologo, sarebbero dovuti al fatto che tali regioni "nei mesi di calo dei casi invece di fare le 'formiche' hanno fatto le 'cicale'.
In conclusione, Bassetti ha dichiarato che "minacciare chiusure
domani non fa ottenere nulla, occorre spiegare alle persone cosa
fare. Dobbiamo far sì che tutti si convincano della bontà delle
misure che proponiamo, dialogare di più e imporre di meno".
Sarà
ascoltato?