Ma l’attenzione delle ultime ore è rivolta ad uno strumento che è entrato a far parte delle nostre vite da quando la pandemia da coronavirus ha travolto il mondo intero: stiamo parlando delle mascherine, già considerate da molti scienziati come la protezione più efficace contro COVID-19.
Qual è dunque la novità delle ultime ore? Un team di ricercatori alcuni giorni fa ha presentato una singolare teoria: le mascherine potrebbero contribuire a immunizzare in modo grossolano alcune persone contro il coronavirus, quasi alla stregua di un vaccino.
La teoria è provocatoria e non ancora
dimostrata, ma secondo alcuni scienziati, in attesa di una cura solida, sicura ed
efficace, la mascherina potrebbe diventare un vaccino rudimentale contro il virus in quanto, schermando un ingresso di quest'ultimo in grandi quantità, potrebbe comunque permettere a qualche particella virale
di passare e penetrare nelle vie respiratorie di chi la indossa, attivando
quindi una sorta di processo di immunizzazione contro il Sars-CoV-2, pur con
un’infezione senza sintomi. Naturalmente, lo ricordiamo,
portare la mascherina non può sostituire in toto un vaccino. Se questa
teoria venisse confermata, tuttavia, indossarla potrebbe diventare una forma
di variolizzazione (era un metodo di protezione dal vaiolo
utilizzato prima dell’arrivo del vaccino e consisteva nell’inoculare, nel
soggetto da immunizzare, del materiale prelevato da lesioni vaiolose o dalle
croste di pazienti non gravi, così da creare immunità) generando immunità e rallentando la diffusione nel mondo.
A sostenerlo è Monica Gandhi, infettivologa della
University of California di San Francisco con un commento sulle pagine del New England Journal of Medicine.
Cosa dicono invece gli scienziati? "È
una teoria interessante con un’ipotesi ragionevole" ha dichiarato all’Afp Archie Clements, epidemiologo alla Facoltà di Scienze
della Salute alla Curtin University in Australia.
Altri esperti hanno
espresso invece delle riserve. Angela Rasmussen, virologa della
Columbia University di New York, ha detto di essere piuttosto scettica sul
fatto che questa sia una buona idea, facendo notare che non sappiamo ancora se
una dose più bassa di virus significhi davvero una malattia più lieve. Inoltre, durata e livello di immunità sarebbero a suo parere ancora troppo poco conosciuti.