CORONAVIRUS: frequentano POSITIVI al COVID ma NON si INFETTANO MAI. Il SEGRETO spiegato da uno STUDIO MONDIALE


CORONAVIRUS: frequentano POSITIVI al COVID ma NON si INFETTANO MAI. Il SEGRETO spiegato da uno STUDIO MONDIALE

Uno STUDIO MONDIALE fa chiarezza su COLORO che non si CONTAGIANO
Uno STUDIO MONDIALE fa chiarezza su COLORO che non si CONTAGIANO
Uno studio internazionale gestito e promosso dal genetista italiano Giuseppe Novelli, direttore del Laboratorio di Genetica Medica del Policlinico Tor Vergata di Roma, in collaborazione con 200 laboratori mondiali coordinati dalla Rockefeller University di New York, ha fatto luce su alcuni individui definiti "resistenti", ovvero su coloro che non si infettano mai, nonostante siano in contatto con positivi al coronavirus e svolgano con essi attività normali come dormire, mangiare e interagire in un ambiente chiuso, senza mascherina.

Perché accade ciò? Cosa rende differenti i "suscettibili" dai "resistenti"? La risposta è molto variegata ed è stata riportata dall'Huffingtonpost. Ci sono gli asintomatici, chi riporta solo sintomi lievi, chi ha bisogno di ossigeno e chi finisce in terapia intensiva. Il virus è sempre lo stesso, i quadri clinici sono completamente differenti. Da cosa dipende? "Quando c’è un’infezione virale di queste dimensioni bisogna tenere conto di tre fattori: il patogeno, l’ospite e l’ambiente, ossia in che contesto si trova l’infezione con l’ospite. L’ospite siamo noi, con le nostre caratteristiche genetiche rispondiamo in maniera diversa a un’infezione”, ha detto Novelli.

Per capire cosa comporta questa differenza nell’infezione da COVID-19, "la prima cosa che abbiamo fatto è andare a studiare il DNA dei malati gravi, quelli che finiscono in terapia intensiva e abbiamo cercato differenze genetiche nel loro DNA ", ha proseguito il professore. "Abbiamo scoperto che il 13% dei malati gravi presenta alcune differenze importanti nei geni che codificano l’interferone, ossia la molecola in prima linea di difesa, la prima barriera di immunità innata, quella che interviene prima ancora che si sviluppino gli anticorpi". I pazienti in questione avevano un problema nella produzione o anche nell'attività delle molecole di difesa, come l’interferone.
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science: "Per la prima volta con questo studio è stato messo in evidenza che una caratteristica genetica dell’ospite è in grado di influenzare la gravità della malattia. Siamo partiti da qui: se esistono fattori genetici di suscettibilità, è evidente che c’è anche un rovescio della medaglia. In genetica funziona così, non c’è mai un unico senso".

Novelli vuole capire cosa hanno di speciale queste persone: "Abbiamo lanciato un progetto internazionale per trovare volontari tra comprovati resistenti, e abbiamo raccolto il loro Dna". I volontari sono stati sottoposti ad analisi e questionari: "Bisognerà mettere insieme questi dati, leggerli e trovare se ci sono omologie di sequenze di Dna: verranno messe a confronto con quelle dei malati gravi" . Da una parte i suscettibili, dall’altra i resistenti. La ricerca è ancora in fase di sviluppo e non sono note le tempistiche per giungere a una conclusione: "Producono più interferone? Non lo sappiamo, dobbiamo verificarlo, ma se ad esempio così fosse, questo ci dice che l’interferone può essere d’aiuto. Se scopriamo che hanno una chiave d’arresto, come per l’Aids, potremmo scoprire un farmaco che blocca l’ingresso anche al COVID", ha concluso Novelli.