Lo studio a cui si riferisce l’Oms è quello condotto da Lydia Bourouiba del Massachusetts Institute of Technology MIT di Cambridge. La ricerca ha concentrato l'attenzione sulla velocità, la permanenza in aria e distanza percorsa dalle goccioline di saliva emesse da pazienti che possano trasmettere malattie invettive come l’attuale COVID-19. È emerso che uno starnuto crea una nuvola sia di dropletssia di goccioline piccole che può arrivare fino a 8 metri di distanza. Le goccioline emesse con starnuti e tosse di persone infette possono viaggiare fino a due metri e poi cadono per la forza di gravità.
L’aereosol, che sono goccioline più piccole, può però restare sospeso in aria e raggiungere distanze maggiori come ha chiarito questo studio. “Non creiamo però troppa agitazione, avverte il virologo Fabrizio Pregliasco, perché è vero che gli studi indicano una potenzialità di dispersione ambientale maggiore, ma parliamo sempre di ambienti chiusi e contesti ospedalieri. All’aperto non ci sono pericoli”.
La diffusione con aerosol è molto più probabile in circostanze e contesti specifici in cui vengono eseguite procedure o trattamenti di supporto che generano le piccole goccioline: ovvero intubazione endotracheale, broncoscopia, aspirazione aperta, somministrazione di trattamento nebulizzato, ventilazione manuale prima dell’intubazione, disconnessione del paziente dal ventilatore, ventilazione a pressione positiva non invasiva, tracheotomia e rianimazione cardiopolmonare. In ospedale dunque, dove ci sono molti pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, non quindi con il respiro normale, ma quello prodotto dalle macchine. Senza adeguati ricambi d’aria le stanze potrebbero saturarsi di aria infetta.