E adesso, con l’avvicinarsi della stagione invernale, cresce la paura per i funzionari della sanità pubblica in quanto si teme possa verificarsi un doppio attacco: ovvero quello che potrebbero sferrare il già di per sé drammatico COVID-19 unito al ritorno dell’influenza stagionale.
Una sorta di unione che i medici hanno già definito con il termine TWINDEMIC.
Ma proviamo a fare un po' di chiarezza sul tema, cercando di capire poi perchè il meteo potrebbe essere fondamentale in questo doppio attacco.
Man mano che ci addentreremo nell'inverno andremo incontro, è risaputo, ad un aumento di
casi influenzali i quali, raggiungono in genere il loro picco tra febbraio e marzo. In
un’intervista rilasciata ad AccuWeather, Bryan Lewis, professore del Biocomplexity
Institute presso l’Università della Virginia, ha
dichiarato che in presenza di condizioni
meteo più fredde e meno umide i virus si trasmetterebbero con maggior
facilità. Inoltre, ha aggiunto che in inverno le persone tendono a non uscire dalle proprie
abitazioni, restando più a lungo in ambienti chiusi e che tali comportamenti non fanno altro
che aumentare il rischio di contrarre l’influenza.
Insieme
a quello del raffreddamento climatico invernale, a svolgere un ruolo fondamentale sarebbe un altro elemento collegato al meteo, ovvero la luce del
sole, che in questo periodo sta diminuendo giorno dopo giorno e che raggiungerà il suo picco minimo il 21 dicembre, data del solstizio d’inverno.
A tal proposito, il fondatore e CEO di AccuWeather, Joel N.
Myers ha sostenuto che "la mancanza di sole, combinata con il cattivo tempo invernale e con le persone che trascorrono più tempo in ambienti chiusi, dove sono più vicini e l’aria non
circola come fa all’aperto, può portare a una carica virale più elevata,
specialmente in ambienti chiusi.".
Come si è detto, l’influenza e il coronavirus
presentano sintomi molto simili. Tra i più evidenti, vi sono: febbre, brividi, tosse, mancanza di respiro o difficoltà di
respirazione, affaticamento, mal di gola, naso che cola o chiuso, dolori
muscolari, mal di testa, vomito e diarrea. Tuttavia, è possibile notare alcune
differenze. A differenza dell’influenza stagionale, il coronavirus
pare diffondersi molto più velocemente, conservando una carica virale
maggiore per una durata più estesa. Anche il periodo di incubazione, tra i due,
è diverso: quello del coronavirus può arrivare fino a 14
giorni, conservando per tutta la durata la sua alta carica virale, mentre l’influenza,
in genere, può incubare da uno a quattro giorni.
Un altro sintomo riconoscibile del coronavirus è un incredibile
senso di stanchezza, accompagnato in molti casi dalla perdita di gusto e
olfatto ed una mancanza di respiro estrema che, secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle
malattie (CDC), rappresenterebbe un segno
rivelatore della presenza del COVID-19.
Ad oggi, nonostante i numerosi passi avanti, non esistono ancora vaccini per il coronavirus. A questo proposito, l’infermiera manager del Dipartimento di Medicina del Johns Hopkins Hospital, Neysa Ernst, suggerisce di effettuare i vaccini anti-influenzali per escludere, quanto meno, uno dei due nemici della "twindemic". Come sostiene Ernst, anche nel trattamento dei due virus ci sono delle divergenze: mentre l’influenza stagionale può essere curata attraverso farmaci acquistabili facilmente in farmacia, il coronavirus necessita di cure e terapie a seconda della gravità dei casi, ancora in fase di test.
Il professor Lewis, in conclusione, sottolinea il
pericolo che incombe il sistema sanitario, poiché a causa del “doppio rischio”,
è maggiore la possibilità che anche il personale medico si infetti, cosa che provocherebbe un vero e proprio caos.
Il meteo potrebbe giocare un ruolo molto significativo
nei prossimi mesi e ci si auspica che la gente possa stare il più possibile all'aria aperta, aiutata magari da condizioni climatiche favorevoli. In questa situazione, il rischio
di infezioni risulterebbe notevolmente ridotto.